Recensione Critica: Vincenzo Guarracino
"Rèveries"
Affiorano come su un sipario antico di colore: immagini del sogno e del desiderio, fantasmi della memoria. Moti dell'animo, ecco cosa sono, le forme che fioriscono sulla superficie delle opere di Antonio Triacca. Emozioni e fantasie che si inscrivono in un'impronta o in un reperto, in un profilo o in un paesaggio, emergendo con fiera agilità dalla viscosa e solida sostanza di linee e pigmenti distesi sulla viva pelle del supporto (carta o tela che sia) e trattenuti con pazienza e sapienza gestuale in rigorose campiture, veri e propri contenitori dell'esperienza, teatri dell'occhio e del pensiero a funzionamento allusivo: non hanno bisogno di corpo e, a dispetto di certi cartigli e inserti grafici, deputati a trasmetterci non di rado anche ironicamente attraverso la ridondanza della scrittura un surplus di informazioni e di senso, non danno corpo a una precisa realtà. Anche se la realtà, sotto forma di una scarpa, una conchiglia, una ciotola o che altro, pare a tratti di potervela riconoscere. Se mai, attengono al dominio di una pulsione. Al cuore che batte, alla mano che segna, al fremito che pulsa. Insomma a quell'essenziale domanda di luce, che si muove e grida dall'informe e oscura quiddità che li abita, che ci abita. Emblemi, simboli di arcaica pregnanza.
La loro funzione è quella essenzialmente di ri-cordare, di ri-dare cioè letteralmente proprio cuore ed anima, sangue e linfa, vita, insomma, alle cose cui alludono: come virgiliane umbrae tenues simulacraque luce carentum, ......