2018 - Galleria Ezio Mariani Opus Incertum


CON GLI OCCHI

La domanda che Baudelaire aveva posto a metà Ottocento: "Che cos'è la modernità?", è rimasta ancora l'interrogazione necessaria per ogni artista; non importa se poeta, pittore musicista, ecc., perché questa è la più grande assunzione di responsabilità che ognuno di loro deve, volente o nolente, accettare dopo che la stessa modernità ha attraversato tutti i confini possibili dei significati e delle forme.   Giungendo con Duchamp,a vanificare l'idea stessa di opera d'arte tutte le proposte che le avanguardie storiche: cubismo, espressionismo, surrealismo, per  citare solo le più importanti, hanno
tracciato, seguendo punti di non ritorno per quanto riguarda la possibilità di
svolgimento delle loro esplorazioni.

Tutte cose che Antonio Triacca conosce perfettamente, come pittore e come docente che da anni si è
fatto educatore dei desideri d'arte di molti allievi. Le opere, presenti in questa mostra, hanno però dato il via ad ulteriori considerazioni; in parte già supposte nei precedenti lavori e in parte imprevedibili nella loro "severità":
che parlano poco, (senza affidarsi ad un colore gridato o a qualche trovata provocatoria che oggi non possono che essere una delle tante forme di autopromozione), ma che dicono cose necessarie, affidando agli occhi, l'opera che ha acceso in Triacca la nostalgia di una realtà che è però tutta da ricomporre. Punto di partenza per comprendere lo sviluppo di questa mostra, vissuta attraverso una tavolozza che sembra quasi negare la necessità del colore, memoria della riuscita in negativo di un Sironi, per esempio, o la riduzione a schemi filiformi di un Giacometti, affidando al più fragile dei supporti, incredibile: la carta velina, la propria sfida nel tentativo di compensare, attraverso una certa incontrollabilità del rapporto tra la fragilità di questa carta e il colore portato dall'acqua che in realtà è l'elemento di una possibile distruzione, verificando l'amarezza di una condizione che non è solo artistica ma esistenziale. Nostalgia di una realtà che in questo momento gli riesce difficile da ricomporre e che richiede
tutta la sua disponibilità. Nelle opere precedenti resisteva ancora una "solarità" della natura (mi riferisco a Terre alte), qui
invece, lavora l'aspetto "notturno" della sua ricerca. E' l' inconscio che ha messo sul tavolo le proprie ragioni e i propri segreti timori di una realtà segreta ma non meno operante per ognuno di noi. Ecco allora il suo tentativo, non di cancellare le figure, ma invece quello di radunarnei frammenti, i "controluce" umani, per risistemarli in un possibile riconoscimento. L'uso della sineddoche, cioè la parte che rivela il tutto, è affidata agli occhi, che guardano e chiedono di essere guardati (d'altronde ogni  opera pittorica non chiede che questo), troppo sinceri per esser solamente decorativi, dal momento che ancora troppi chiedono alla pittura di essere solamente "bella", di arredare convenientemente il salotto buono della loro casa.  Lasciamo perdere! Qui invece siamo in presenza di una pedagogia dell'essenziale, di una severa geografia dei paesaggi, le marine, per esempio, che guardate con un po' più di attenzione, sembrano campi arati, confrontandosi con una bellezza che non si permette diessere solo tale. Triacca possiede la severità delle cose vere, non si assolve e non assolve, c'è lo "spavento" di Bacon e la "magra essenzialità" di Giacometti, non in forma epigonale, ma in forma di una medesima testimonianza, di colui che ha camminato un po' insieme a loro, per poi lasciarli perché il luogo dove doveva andare era un altro.Dove? Certo l'autore non lo comunica con le parole (sarebbe un abuso punibile con il disinteresse), ma lascia che sia la sua tavolozza e i suoi segni; che comprendono i suoi fantasmi e le sue simbologie segrete (anche se non c'è niente di più simbolico della realtà), e, paradossalmente, svelare la sua visione del mondo, tutta la carica dei suoi desideri, le piccole e grandi interrogazioni lasciate ancora in sospeso dal tempo e dalla storia. Può bastare? Se queste opere sono completamente annullate le simbologie della tradizione, attraverso una riscrittura a partenza zero dei significati, ma attuata solo per rilanciare
quella proposta d'arte; richiesta dalla nostra condizione storica che ha fatto della disillusione, o meglio, secondo in termine caro alla cultura barocca, del "desengano" (disinganno) il luogo da dove ripartire, accettando anche la più labile delle possibilità; quella dell'acquaragia "sporca".             

Nel desiderio di concedere esistenza all'infimo, alla cosa da buttare, al rischioso richiamo che indica, per un pittore come Triacca, la vanità di una tessitura coloristica, cantante chissà quale felicità dei colori del mondo, indicativa di una caparbietà solo cromatica, che dopo averla inseguita per anni, ha rivelato tutta la sua insufficienza e improponibilità, rinunciando alla grazia spontanea del colore ma subito preoccupandosi di altre ragioni del dipingere. Nel suo fondo rimane la nostalgia della figura umana, sentendo continuamente la loro presenza, accusandole, a volte, di essere troppo esplicite. E questo è semplicemente dovuto al bisogno di una loro ripartecipazione per toglierle dal loro controluce, che non si dichiara nei particolari della loro presenza, sapendo però consegnare loro una prima ragione d'essere.Probabilmente l'aspetto più interessante di queste opere non è un atto di possibile cancellazione, ma "un Lazzaro vieni fuori ", perché c'è ancora tanta vita (pittorica) da vivere. I suoi colori non cedono alle lusinghe di un colorismo sui generis e non creano facili prospettive. Sanno benissimo la perdita "d'autorità" che una parte del momento attuale ha per loro stabilito. L'incontro con la modernità è avvenuto e ha lasciato poche illusioni, anche se Triacca, segretamente confida che altri mondi possono esistere (ed esistono), anche se non d'immediata percezione. Queste opere, che noi, per pigrizia mentale, continuiamo a chiamare quadri, sono le proiezioni di un autore che ha deciso di "ripartire da zero", dove, però, la partenza è il prodotto di una consapevolezza anche nei confronti dei suoi maestri che l'hanno
preceduto ed educato. Alcuni nomi sono già stati fatti, ma un altro ne possiamo aggiungere, quello di Sironi, con le sue periferie che non hanno avuto bisogno di troppi colori per essere dette. Un insieme di idee sull'arte che chiede al proprio spettatore una partecipazione attiva e non solo contemplativa, opere che richiedono la sua presenza per essere "completate"
attraverso l'inserimento delle sue esperienze. E Questo,  bisogna dirlo in modo chiaro, è la più alta forma di rispetto per chi decide di seguire il lavoro di questo pittore. Quindi un partecipante integrativo e non passivo, cercando, come ha cercato l'autore, di comprendere la difficile figurazione del reale, realtà troppo detta che, alle volte, è solo una finzione della verità. D' altronde, un'opera d'arte non vive solo di se stessa, viene da qualcosa e va verso qualcosa d'altro, ottenendo, così, la propria ragione d'esistere, dentro una contemporaneità che ha somontato tante ragioni del colore e dei segni.   C'è in Triacca il
bisogno di affrancarsi dal troppo detto e dal troppo dipinto econtemporaneamente la volontà di possedere l'oltre-realtà, significata da un minimo uso del colore, quasi punendolo e quasi negandolo per provvedere allasintesi di quella realtà dette (pittoricamente) e quelle sottintese (extra-pittoriche). Antonio conosce le trappole che potrebbero essere in atto, fingendo di non conoscere l'importanza di una sintesi tra pensiero e azione pittorica (spandere a caso sulla carta il colore avanzato), la voce che sistematicamente si racconta nell'atto del dipingere, che non è una favola a lieto fine, ma il bisogno del mondo chechiede di essere verificato e ricompensato. La prossima fermata (Next stop), ci farà arrivare proprio in questo posto, dove occhi interrogativi sono d lungo tempo in attesa, sacrificando il colore, come del resto avevano già proposto sia Picasso che Braque, decidendo di essere l'erede di una modernità che probabilmente, non ha ancora concluso il suo cammino, consumandocosì un'altra delle sue possibilità dentro una quasi cancellazione del colore come unico protagonista, o meglio, quasi una sua riduzione a fantasma di se stesso, sospettandolo forma di una nostalgia che, probabilmente, non mancherà, in futuro, di ridare i suoi frutti, portati da una nuova alba pronta a riconsegnarceli nuovi e innocenti. Oltretutto, in alcuneopere di Triacca sono visibili tracce di un'idea altra del colore, sospendendo, per ora, le ragioni di una pittura "consolatoria". Non sarà un ritorno,ma semplicemente un andare oltre richiesto dalla sua stessa ricerca. Del resto anche Duchamp, si dice, dopo la distruzione totale dell'idea dell'opera d'arte attraverso i suoi ready-made, stava cercando qualcosa che ricomponesse in un nuovo senso il lavoro dell'arte. E questa  è la cosa più importante che la contemporaneità ci ha lasciato, proponendo una conciliazione tra i valori artistici del passato e, in parimodo, scrutare quello di cui ha bisogno il futuro. Gli occhi che guardanoe che desiderano essere guardati, sono l'opera meno dissolta all'interno di tutti questi lavori, convinti che bisognava rinunciare ad un facile colorismo
fauve, ma non per questo meno disponibili ad una loro significativa presenza.


Piero Marelli




Galleria foto: 2018 - Opus Incertum

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