1964-1970 LA FORMAZIONE E LE PRIME SPERIMENTAZIONI

27.01.2016 15:04

La scelta di intraprendere un percorso a carattere creativo, nell’ambito artistico, avviene per Triacca già nella scuola dell’obbligo. L’espressione attraverso forme e colori lo attira da subito: la libertà che la comunicazione delle immagini gli offre si adatta alla sua sensibilità. Già dopo la scuola media decide quindi di intraprendere una percorso seguendo i suoi interessi artistici.

L’artista si iscrive nel 1964 alla scuola civica d’arte P. Borsa di Monza, alle porte di Milano. È qui che inizia ad avere contatti con alcuni insegnanti ed operatori del settore artistico.

La scuola ha prevalentemente carattere professionale: i corsi e gli insegnamenti tendono cioè ad una preparazione prevalentemente tecnica. La figura dell’artista è intesa qui come artigianale, ed in questo senso l’arte è un “mestiere” che si apprende grazie alla pratica assidua.

All’interno dei corsi insegnano pittori come Alessandro Bruschetti, Giuseppe Colombo, Gaetano Ottolina, Fulvio Comi. Alessandro Bruschetti, pittore umbro, aveva partecipato al secondo futurismo italiano e riportava a Monza il clima di questa corrente.

Giuseppe Colombo, allievo di Marino Marini, viveva l’esperienza milanese della neofigurazione e anche se non ne condivideva l’orientamento riportava agli studenti il clima di quegli anni e del fermento culturale dell’Accademia di Brera.

Gaetano Ottolina era cresciuto nell’ambiente del vecchio Istituto Superiore Industriale Artistico di Monza, con Semeghini e Arturo Martini. Fulvio Comi, come Ottolina, trasmetteva gli insegnamenti che avevano come matrice l’impostazione didattica dell’ I.S.I.A.

All’interno dei corsi si distingueva in modo particolare la sezione di pittura che si staccava dal clima artigianale, rivendicando una maggior attenzione al mondo degli artisti, in particolare alla pittura post-impressionista.

 

È soprattutto dal 1967 che Triacca inizia ad intraprendere esperienze fondamentali per la sua formazione. In quell’anno apre a Monza l’Istituto d’Arte grazie ad alcuni professionisti ed insegnanti che danno il via ad una sperimentazione didattica. L’istituto infatti vuole ricalcare i metodi didattici del Bauhaus. Come la scuola di Gropius gli insegnanti vogliono fare dell’istituto un luogo di sperimentazione e innovazione nel campo della didattica e nell’educazione artistica. Il carattere della scuola vuole essere antiaccademico e antiteorico. L’aspetto pratico-progettuale è posto in primo piano, così come la partecipazione attiva dello studente, chiamato a mettere in pratica le idee e le nozioni apprese. Maestri e allievi sono coinvolti a partecipare insieme a sperimentazioni ed esperienze delle più svariate. Inoltre la didattica acquista un carattere interdisciplinare: non è più racchiusa in moduli separati e in comunicanti, ma si sviluppa in modo organico. Gli studenti, come i docenti, arrivano da percorsi diversi: qualcuno da esperienze di lavoro, qualcuno dal liceo o da scuole differenti. Molti studenti di quegli anni sono entrati a far parte poi del corpo insegnanti. Era quella una situazione davvero particolare nella storia dell’Istituto.

Inizialmente vengono aperte due sezioni con due orientamenti: un settore grafico e l’altro più inerente all’architettura di interni. Triacca si iscrive al corso di grafic-design.

Vi insegnano pittori, scultori, architetti e designers come Marcolli, Ramous, Provinciali, Fronzoni, Silvestrini, Valentini e Spagnolo. Questi artisti cercano di trasmettere un modo nuovo di guardare all’arte, meno rigido e tradizionale. Il dibattito sul ruolo stesso dell’arte e dell’artista nei confronti della società è in quegli anni coinvolgente in tutti i reparti. È in atto il cambiamento che dilagherà in tutte le discipline negli anni seguenti, in un clima di rivoluzione all’interno delle istituzioni. Tra gli studenti vi è anche una forte motivazione politica.

Grazie al fatto che la scuola è al suo primo anno di attività, nel primo ciclo di insegnamento, quello a cui prende parte Triacca, è ancora in fase di sperimentazione: i programmi sono ancora fogli bianchi su cui scrivere e nei quali mettere alla prova approcci alle materie inconsueti, diversi dalla tradizione.

Non è solo una scuola ma piuttosto un laboratorio di ricerca all’avanguardia nella sperimentazione di nuovi materiali. Ad esempio nel laboratorio di tecniche plastiche si conducono esperienze insolite per l’epoca. Il legno, la creta, la pietra non sono utilizzati in modo tradizionale, ma vengono usati per assemblaggi e prove didattiche non legate al concetto di scultura tradizionalmente inteso. Per comprendere quali nuovi intenti vengono messi in pratica dagli insegnanti si può citare l’esempio di sperimentazione fatta con i pezzi di scarto, i rifiuti che vengono raccolti tra i rottami. Gli studenti vengono portati con un camion in una discarica industriale dove prelevano ingranaggi, pezzi di macchinari e oggetti di rifiuto con i quali provare la tecnica del calco, dell’assemblaggio e cimentarsi con nuovi materiali prima non considerati dall’arte tradizionale, come le materie plastiche. Le nuove proprietà a volte inaspettate di questi materiali trasmettono energie inaspettate. Il concetto di opera d’arte viene ampliato e riveduto; la formazione del pittore riformata

 In questi anni all’Istituto d’arte di Monza il clima che si respira è quindi quello di un grande banco di prova dove si possono tentare tecniche nuove e addentrarsi in tematiche o studi meno legati ai programmi tradizionali.

In questo senso anche il tempo da dedicare alla pratica e alla sperimentazione esula da quello scolastico: gli studenti possono fermarsi nelle aule anche oltre l’orario.  Il preside ottiene come spazi scolastici alcune sale della Villa Reale di Monza. Il carattere sperimentale e interdisciplinare favorisce il formarsi di piccoli gruppi di studenti che si ritrovano a lavorare durante i pomeriggi nelle sale della villa. Il numero esiguo di iscritti permette loro di avere uno “studio” personale, come in un grande laboratorio in cui lavorano diversi pittori.

Questo fu possibile soltanto nei i primi cinque anni,in quelli successivi non fu più attuabile soprattutto per problemi burocratici e organizzativi: dal 1972 in poi diviene una scuola a tutti gli effetti, cioè dipende dal provveditorato agli studi e dai concorsi per l’assunzione di personale. Le graduatorie dei docenti non permettono più di chiamare ad insegnare pittori e professionisti senza i titoli di studio richiesti. In quegli anni anche a professionisti non laureati, come Fronzoni, venivano affidate delle cattedre. Questi insegnanti possedevano infatti  un’esperienza prevalentemente fatta sul campo, nella pratica della professione.

Attorno al clima monzese dell’Istituto d’arte si formano gruppi di amici che manifestano interessi nel crescente dibattito che scuoteva il mondo artistico e intellettuale. In particolare si fa più accesa la critica nei confronti di un circuito dell’arte chiuso, con metodi di stampo ancora ottocentesco. Gli studenti, grazie alle riflessioni nate in ambito scolastico, sono più attenti a capire la funzione dell’arte e il ruolo dell’artista in quel preciso contesto, oltre che le contraddizioni di un operare libero e slegato dalla tradizione in un ambito sociale che ancora si basava su modelli precostituiti.

Si viveva di riflessi quello che stava succedendo all’Accademia di Milano, dove alcuni artisti iniziano a mettersi in discussione prendendo le distanze dalle correnti di pensiero più tradizionaliste.

 

Per concludere, questi due momenti, quello della scuola civica e quello dell’Istituto d’arte, rappresentano due realtà diverse, ma entrambe hanno contribuito a formare la sensibilità del pittore e il suo approccio al lavoro di artista.

Soprattutto un incontro è stato per Triacca molto significativo: quello con Nanni Valentini.

 


 

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