1981-1986 LA LETTURA DE “LA POETICA DELLO SPAZIO” DI GASTON BACHELARD

27.01.2016 16:06

Molte tematiche affrontate da Antonio Triacca sono ispirate, anche se il termine è restrittivo, a testi di Gaston Bachelard, filosofo francese della prima metà del Novecento. Il termine “ispirate” non è del tutto esatto in quanto Triacca ritrova nel pensiero bachelardiano numerose consonanze con il proprio modo di intendere relativo ai concetti di spazio e di immaginazione. In particolare Triacca individua negli studi del filosofo sull’immagine poetica (assimilabile per certi versi all’immagine pittorica) temi a lui cari ma anche teorie filosofiche applicabili al suo modo di concepire l’immagine e il suo processo di formazione.

È soprattutto un’opera che Triacca apprezza e studia: si tratta di “La poetica dello spazio”. Molti temi ivi contenuti sono emersi più volte nel corso della sua produzione ed hanno fornito più che uno spunto per la sua pittura.

“LA POETICA DELLO SPAZIO”

 

Scopo di Bachelard è quello di individuare una sorta di fenomenologia dell'immaginazione e dell’immagine poetica.

“È necessario pervenire ad una fenomenologia dell’immaginazione, per poter gettare luce filosofica sul problema dell’immagine poetica: intendiamo con ciò uno studio del fenomeno dell’immagine poetica, quando l’immagine emerge alla coscienza come prodotto diretto del cuore, dell’anima, dell’essere dell’uomo colto nella sua attualità”.[1]

Ecco enunciata la tesi da cui intende partire per sviluppare una fenomenologia dell’immaginazione.

Per fenomenologia egli intende l’analisi del fenomeno, inteso come manifestazione dell’immagine poetica, cioè di come essa emerga nella coscienza dell’uomo e del suo legame con la sfera dell’emotività, cioè il lato intimo dell’essere umano.

Bachelard esordisce nell’introduzione chiarendo che il filosofo della scienza, per studiare ciò che concerne l’immaginazione poetica, deve staccarsi dal suo bagaglio di sapere.

“Un filosofo (…) è obbligato a dimenticare il suo sapere e rompere con tutte le sue consuetudini di ricerca filosofica, se desidera studiare i problemi posti dalla immaginazione poetica”. [2]

Questo è necessario in quanto bisogna cercare di aderire all’immagine in modo completo, tentando di riviverla piuttosto che provare ad interpretarla. Le conoscenze e il sapere del filosofo precluderebbero questa capacità di lettura “disinteressata”, scevra cioè da rimandi culturali e intenzioni critiche.

Sempre nell’introduzione afferma: “Quando dovremo parlare, in seguito, del rapporto tra una immagine poetica nuova e un archetipo assopito nelle profondità dell’inconscio, bisognerà far capire come tale rapporto non sia propriamente causale”.[3]

Questa affermazione si riallaccia alle premesse che hanno portato il filosofo all’analisi dell’immagine. Questi “archetipi” possono essere quegli ostacoli che impediscono all’uomo di formulare idee nuove perché lo ancorano a concetti ormai talmente radicati da renderne impossibile la messa in discussione. Ma l’attenzione è ora rivolta a comprendere come determinate immagini nascano e si sviluppino nell’inconscio. Il filosofo pone una distanza tra le immagini poetiche e gli archetipi, negando una relazione di tipo causale, appartenente invece alla visione psicanalitica. Il suo approccio per così dire “fenomenologico” infatti, vuole distanziarsi da uno più prettamente “psicanalitico”, del quale contesta la tendenza ad associare il sogno al simbolo, dando alle immagini significati simbolici che trovano poi riscontro nella realtà. Per Bachelard questo processo non porta alla comprensione dell’immagine poetica, ma, al contrario, ne impedisce l’adesione totale. L’approccio fenomenologico si traduce perciò in un tentativo di rivivere l’atto poetico, cogliendo così le immagini senza volerle comprendere a tutti i costi. In questo senso il passato non fornisce spunti per l’emergere delle immagini, anzi sono queste che possono portare a galla i ricordi.

 

Anche Triacca parla delle sue immagini pittoriche sgombrando il campo da interpretazioni in chiave psicanalitica. La sua pittura è infatti sovente costituita da frammenti evocativi, figure allusive inserite nel quadro alla stregua di stralci poetici, che sembrano affiorare alla sua mente in modo automatico. Si può erroneamente pensare che Triacca scelga le sue immagini pescandole dall’inconscio, da memorie di un passato sedimentato nella mente e che affiorano inconsapevolmente, traducendosi in immagini. In realtà non vi è alcun riferimento all’inconscio, inteso in senso surrealista. Non c’è alcun utilizzo della pratica di automatismo ma al contrario una scelta cosciente e ragionata di quei temi che, hanno sì a che fare con delle immagini archetipiche, ma appartenenti all’uomo in generale. Anche se nel surrealismo si individuano i caratteri di una rivoluzione in ambito figurativo, ossia un superamento della pittura a carattere imitativo di stampo ottocentesco a favore di una nuova libertà espressiva, che Triacca condivide, non vi è connessione tra le associazioni surrealiste di tipo automatico e il modo di giungere all’immagine dell’artista. La sua è un’operazione consapevole, situata all’interno di una coscienza attiva. In questo senso si avvicina a quella che Bachelard chiama “reverie”.

La “Reverie”

Stabilito che né la conoscenza né la memoria o l’inconscio sono causa dello scaturire dell’immagine poetica, Bachelard introduce questo nuovo concetto: l’immagine poetica scaturisce da ciò che il filosofo chiama “reverie”.

“La reverie è un’istanza psichica che troppo spesso viene confusa col sogno”.[4]

Per definire il concetto di reverie occorre confrontarlo con quello di sogno, che ha a che fare con l’inconscio. La dimensione onirica è caratterizzata da uno stato di incoscienza in cui l’io è passivo e “subisce” le immagini che scaturiscono dall’inconscio. “Nella reverie poetica invece l’anima è veglia, senza tensione, serena e attiva”[5]. La dimensione della reverie è quindi quella in cui l’io è cosciente, è una sorta di sogno ad occhi aperti; è la dimensione più vera dell’immaginazione, nella quale questa si attiva nella sua funzione dell’irreale, allontanandosi progressivamente dalla realtà. Il termine si può tradurre con “fantasticheria”, anche se non è del tutto esatto. La coscienza si trova in uno stato di veglia ma allo stesso tempo lontano dal reale. Il sogno appartiene alla notte, la reverie al giorno. Ne “La poetica della reverie” Bachelard cita un passo tratto da Victor Hugo: “Tutto questo non era né una città, né una chiesa, né un fiume, né colore, né luce, né ombra; era rêverie. - Sono rimasto a lungo immobile, lasciandomi dolcemente penetrare da questo insieme inesprimibile, dalla serenità del cielo, dalla malinconia dell’ora. Non so che cosa capitava nel mio spirito e non potrei dirlo, era uno di quegli istanti ineffabili in cui si sente in se stessi qualcosa che si sveglia”.[6]

È l’immaginazione dunque a risvegliarsi e a produrre immagini.

Ecco chiarita la via d’accesso all’immagine poetica, quel moto dell’anima che attiva l’immaginazione, facoltà cosciente del poeta o dell’artista.

Allo stesso modo le immagini di Triacca possono essere accostate alla reverie, che peraltro è il titolo di una mostra dell’artista tenuta nel 2003 alla Villa Facchi di Casatenovo (Lc).



[1] Bachelard, Gaston,“La poetica dello spazio”, Dedalo Libri, Bari, 1975.

[2] Ibidem

[3] Ibidem

[4] Bachelard, Gaston,“La poetica dello spazio”, Dedalo Libri, Bari, 1975.

[5] Ibidem, pag 11

[6] Bachelard, Gaston,“La poetica dello spazio”, Dedalo Libri, Bari, 1975, pag. 19

Il “Retentissement”

Ho accennato in precedenza come sia necessaria un’adesione totale all’immagine poetica, una partecipazione assoluta che Bachelard sintetizza in un altro concetto altrettanto importante: quello del “retentissement”. Si tratta di una sorta di “risonanza”, di “eco” in un’accezione diversa. L’eco può essere un semplice richiamo a esperienze passate. Il retentissement non desta semplicemente un ricordo assopito ma risuona nell’anima in modo possente. L’atteggiamento fenomenologico dell’immedesimazione nell’immagine poetica non è semplicemente rievocazione di memorie a partire da qualcosa che l’immagine suscita. Riguarda immagini presenti nella coscienza dell’uomo che se vengono evocate dal poeta possono trovare anche nel lettore una corrispondenza. Il retentissement mette in moto l’attività creativa del lettore, che si immedesima in colui che scrive. “Tutti i lettori che rileggono un’opera che essi amano, sanno che le pagine amate li riguardano”.[1]

Questa introduzione prelude alla trattazione che segue, nella quale Bachelard esamina una serie di immagini semplici che definisce “immagini dello spazio felice”. Il fine è quello di analizzare il valore degli spazi sotto il profilo antropologico, in particolare degli spazi di possesso, i luoghi difesi e amati. Gli spazi dell’ostilità che evocano conflitti sono solo accennati in favore di una trattazione più ampia dei luoghi che attirano. È l’immaginazione a conferire determinati valori a questi spazi e Triacca traspone alcune di queste immagini sulle sue tele. Sono molte le tematiche riprese nella sua opera: da quella di casa, e la simbologia che ne deriva, a quelle di armadio, di nido, di angolo fino alla dialettica del fuori e del dentro. La sua poetica è strettamente connessa alla poetica dello spazio bachelardiana.

La poetica della casa

Il primo spazio di cui Bachelard si occupa è la casa, immagine di intimità e protezione. La poetica della casa può essere definita come una sorta di topografia del nostro essere intimo. In questa ottica la casa rappresenta uno strumento per un’analisi dell’anima umana. Essa è uno dei luoghi più carichi di valore relativo allo spazio interiore. Attorno ad essa si formano una serie di immagini ora riferite alla casa nel suo complesso, ora riferite alle sue varie parti.

La casa è sinonimo di intimità protetta, è il primo spazio vitale, il nostro “angolo del mondo”.[2]

Lo spazio abitato è luogo di protezione, riparo, rifugio. Per individuare nelle immagini di intimità e protezione l’essenza peculiare della casa è necessario richiamarsi alla funzione dell’abitare. La reverie della casa è connessa al nostro modo di vivere gli spazi e ai ricordi delle antiche dimore.

La casa è altresì un elemento di raccolta e custodia dei pensieri e dei sogni dell’uomo.

La casa “sostiene l’uomo attraverso le bufere del cielo e le bufere della vita” e “protegge il sognatore”[3]. Non è solo simbolo di intimità ma è anche rifugio della nostra intimità, dei nostri sogni. I ricordi vi trovano alloggio in quanto la memoria non si registra nel tempo ma trova collocazione in una dimensione spaziale.

I valori riferiti al riparo sono molto radicati nell’inconscio. Se le parole di un poeta o le immagini del pittore sono usate sapientemente, possono destare in noi quel retentissement che risveglia l’immaginazione e ci conduce alla reverie. La casa natale è il luogo che più resta indelebile nel nostro modo di percepire lo spazio dell’abitare.

La casa fornisce all’uomo la sensazione di stabilità. Gli spazi di intimità sono designati dall’attrazione in quanto sono luoghi del benessere. Ma per comprendere quali immagini di stabilità la casa susciti nell’uomo è necessario individuare alcune percezioni basilari dello spazio interno. Innanzi tutto la casa si associa ad un valore di verticalità, che ha i suoi poli nella soffitta e nella cantina. La soffitta rappresenta il polo razionale mentre la cantina quello irrazionale. La prima ripara l’uomo dagli agenti atmosferici; la seconda incarna il luogo oscuro, “l’essere che partecipa alle potenze sotterranee”. [4]Lo spazio così inteso fornisce al filosofo un modello per illustrare alcune sfumature psicologiche. Anche Jung si serve di questa contrapposizione soffitta-cantina per analizzare la paura e utilizza un’immagine che Bachelard cita: “La coscienza si comporta allora come un uomo che, sentendo un rumore sospetto in cantina, si precipita in soffitta per costatarvi che non ci sono ladri e che, conseguentemente, il rumore era pura immaginazione. In realtà, quell’uomo prudente non ha osato avventurarsi in cantina”. [5]

Questa immagine può far rivivere “fenomenologicamente” le due paure: nella soffitta queste si razionalizzano mentre la cantina rappresenta l’inconscio, dove il buio regna giorno e notte. In questo caso Bachelard ravvisa nell’immagine descritta dallo psicologo un retentissement efficace che ridesta in noi l’esperienza delle due paure.

Attraverso alcune immagini letterarie e poetiche il filosofo trae esempi per una fenomenologia dell’immagine. Dal romanzo di Henri Bosco il filosofo trae immagini della cantina, delle scale, del soffitto a volta e della torre che illustrano il valore di verticalità, condensando in esso le immagini delle due polarità.

La casa richiama il rifugio, il centro in cui sentirsi sicuri, angolo in chi rannicchiarsi, il nido, la tana. È la zona di forza, centro di massima protezione. Questo conduce alla reverie della capanna, casa primitiva che con la sua rotondità ci avvolge.

Altra immagine che nasce nella reverie della casa riguarda la luce che è in essa e che filtra attraverso le finestre. “Con la sua sola luce, la casa è umana, vede come un uomo, è un occhio aperto sulla notte”. [6]

Triacca utilizza queste associazioni in temi da lui tratti quali la casa, ma anche la conchiglia, che rappresenta la casa del mpllusco, ambiente accogliente, racchiuso, luogo di attrazione, di rifugio, nascondiglio.

Il nido

Per una fenomenologia della poetica del nido Bachelard individua nelle parole di Victor Hugo, tratte da Notre-Dame de Parise e riferite al protagonista Quasimodo, uno spunto per giungere a definire il potere del rifugio. Esso è in grado di dare la propria forma a chi ci abita, come una chiocciola assume la forma del guscio. Così per Quasimodo la cattedrale diviene la casa, il nido, l’universo. L’essere umano, come l’animale, trova nella casa un luogo in cui rifugiarsi, un angolo in cui rannicchiarsi, un buco in cui ritirarsi, una tana per nascondersi. Il nido è la creazione perfetta dell’uccello. La fenomenologia del nido parte dalla constatazione del piacere che  procura l’osservare immagini di nidi o scoprirne uno tra gli alberi. Il nido è un nascondiglio per gli uccelli che lì si mimetizzano tra le fronde. Il nido che provoca la reverie non è quello abbandonato, ma quello vivente. Bachelard sviluppa una ricerca dei nidi in letteratura.

“Già l’albero che ha l’onore di procurare un rifugio ad un nido partecipa al mistero del nido.”[7]

Il nido esprime riposo, trasmette tranquillità. Esso si associa all’immagine della casa semplice. Van Gogh osservando le capanne nei campi le paragona ai nidi di scriccioli, coperti da un tetto che ripara.

Al nido vi si fa ritorno ed è per questo che ridesta la reverie collegata alla fedeltà.

Il nido possiede una soglia accogliente. Bachelard tornando al rapporto tra la forma della casa e il corpo che ci abita parla dell’uccello che costruisce il suo nido con tutto il corpo, girandosi di continuo e comprimendo la paglia col suo petto. In questo modo crea un cerchio attorno a sé

Il nido è l’emblema della nostra fiducia verso il mondo: paradossalmente anche se la sua posizione è precaria e la struttura instabile, noi continuiamo a vederlo come simbolo di sicurezza. Nel nido l’uovo viene covato e si schiude; è solo in seguito che il pulcino conoscerà l’ostilità del mondo.

 

La dialettica del fuori e del dentro

Le immagini immediatamente collegate a questa dialettica sono quelle di positivo e negativo. In filosofia è invece associata alla dialettica di essere e non-essere. Una metafora che si costruisce su questo rapporto è quella dell’aperto e del chiuso. “Dentro” e “fuori” richiamano nozioni geometriche in quanto determinazione di spazi in rapporto tra loro. In questo senso il limite, la barriera tra l’uno e l’altro, è la soglia. La soglia per eccellenza è la porta. La porta socchiusa provoca la reverie del desiderio, della tentazione di aprirla e scoprire ciò che sta all’interno o all’esterno. La porta è anche chiusa, inequivocabilmente sbarrata, o piuttosto spalancata, aprendoci un varco verso la libertà.

Tra interno ed esterno c’è in un certo senso asimmetria, in quanto l’interno si associa ad uno spazio ridotto, ristretto, mentre lo spazio che sta fuori è vasto e smisurato.


 



[1] Ibidem, pag.16

[2] Bachelard, Gaston,“La poetica dello spazio”, Dedalo Libri, Bari, 1975, pag. 32

[3] Ibidem

[4] Ibidem, pag. 46

[5] Bachelard, Gaston,“La poetica dello spazio”, Dedalo Libri, Bari, 1975, pag. 46

[6] Ibidem, pag. 62

[7] , Gaston,“La poetica dello spazio”, Dedalo Libri, Bari, 1975, pag. 121

 

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