L’INCONTRO CON NANNI VALENTINI

27.01.2016 15:06

Nanni Valentini è un artista marchigiano nato a Sant' Angelo in Vado (Pu) nel 1932. È pittore ma soprattutto scultore e ceramista. “Il mio lavoro è sempre stato un rimbalzo continuo tra la pittura e la ceramica. Si potrebbe dire tra l'apparenza e la certezza o tra il visibile e il tattile.[1]

Nel 1945 frequenta la Scuola d'arte per decorazione di ceramica a Pesaro, mentre nel 1949 si iscrive all'Istituto d'arte di Faenza. Intraprende nel 1953 il lavoro di ceramista nella bottega di Bruno Baratti a Pesaro. Si diploma lo stesso anno e comincia a frequentare l’Accademia di Bologna. Inizia in questi anni ad esporre e ad ottenere diversi premi come ceramista, tra cui il terzo premio al Premio Deruta. Alla sua attività scultorea affianca sempre quella di pittore.

Nel suo percorso sperimenta diversi materiali oltre la terracotta, come laterizi, cera, sabbia, catrame.

Viene introdotto da Fontana nel contesto artistico milanese ed è grazie a lui che nel 1958 tiene la sua prima mostra all’Ariete di Milano con lavori di terracotta greificata.

Nel 1959 l’attività di pittore entra in crisi mentre invece continua a produrre ceramiche. Sempre come ceramista, partecipa alla Triennale di Milano, dove ottiene una medaglia d'oro.

Nel 1968 è nuovamente a Milano, dove svolge molta attività politica in seno al gruppo promotore di Manifestazione d'arte di protesta.

Nel 1969 prende a insegnare all'Istituto d'arte di Monza, dove rimarrà fino al 1985. Qui si lega soprattutto a Silvestrini, con cui svolge ricerche sul colore e sul linguaggio visivo. Fino al 1972 si impegna in un approfondimento su diverse problematiche inerenti l’arte, la filosofia e il linguaggio. Legge autori come Foucault, Derrida, Barthes, Eco. Esegue schizzi e studi analitici oltre che ceramiche che rientrano nelle speculazioni inerenti questo campo di ricerca. Riprende molti spunti dai suoi primi lavori.

Nel 1973 riprende l’analisi dei suoi lavori sul segno, vicini alla poetica dell’Informale, unendo gli ultimi studi sulla semiologia e sulla didattica. Cerca così di attuare una sintesi dei diversi aspetti per trovare un nuovo percorso da intraprendere. Sperimenta in questo periodo molti materiali come la carta pesta, il cartone bagnato, la cera, la sabbia, il cemento, la garza, il legno e la terracotta. Gli strumenti privilegiati restano la terracotta e il disegno e i primi risultati di questi esperimenti sono impronte di alberi e foglie.

Nel maggio del 1981 tiene una personale alla galleria San Marco di Seregno insieme ad Antonio Triacca.

L’anno successivo espone alla Biennale di Venezia, mentre nel gennaio del 1984  inaugura una personale al Padiglione d'arte contemporanea di Milano. Contemporaneamente espone al Salone Annunciata di Milano nella mostra dal titolo: “l’Immagine esistenziale”. Partecipa inoltre alla XXIX Biennale di Milano alla Permanente.

Muore improvvisamente il 5 dicembre del 1985.

 

Antonio Triacca incontra Nanni Valentini nel 1969, quando cioè l’artista marchigiano è chiamato ad insegnare all’Istituto d’arte di Monza.

Triacca lo definisce come un “personaggio unico nel modo di “guardare” e analizzare i linguaggi espressivi artistici. I suoi studi sulla teoria della forma e della figurazione, le proposte didattiche che avevano come riferimento Klee e la filosofia greca presocratica, il pensare l’arte come ricerca e approfondimento della conoscenza diventavano per i suoi allievi un punto di partenza per costruire la propria dimensione espressiva.”[2]

E proprio punto di partenza diventa anche per Triacca. L’incontro con questo pittore e scultore, ma soprattutto studioso del linguaggio dell’arte e ricercatore didattico, gli apre nuove prospettive inaspettate. Il modo di trattare e affrontare le tematiche, il suo metodo di lavoro, la maniera di intendere la materia di Valentini hanno avuto per lui una forte incidenza. È soprattutto l’approccio ai temi e al lavoro di artista che affascina Triacca e diventa per lui metodo utile da cogliere, così vicino alla sua sensibilità.

“Spesso nel suo studio si lavorava intorno a questi temi. Si sperimentavano tecniche ma soprattutto si imparava a conoscere attraverso il “fare” una nuova metodologia rivolta alla ricerca linguistica.”[3]

Questa ricerca linguistica diventerà cifra stilistica dello stesso pittore lombardo, teso all’indagine sugli strumenti linguistici dell’arte.

Una breve panoramica sull’attività e sul pensiero di Valentini consentono di cogliere molte consonanze con la pittura, il metodo e la poetica di Triacca e  di comprendere maggiormente la genesi dello sviluppo dei suoi mezzi espressivi.

 

Valentini ha sempre affiancato la sua attività di scultore a quella di pittore. Le sue prime opere risalgono agli anni ’50. Indaga la terra nel suo configurarsi naturale in forme primarie e analizza le sue caratteristiche, come la rugosità o la fragilità. Lavora sul rapporto e sul dialogo tra la terra e gli altri tre elementi primari: aria, acqua e fuoco. Essi sono anche legati a temi alchemici, ad una trasformazione in atto. La terra prende forma grazie all’acqua che la rende plasmabile, entra in rapporto con l’aria essiccandosi, tornando cioè al suo stato solido; Il fuoco imprime la forma e il colore. Spesso procede per cicli tematici, con frequenti riferimenti alla mitologia.

Le tematiche ricorrenti, oltre a quelle del cielo e della terra, sono anche riferite al volto e alla figura, ad esempio a quella dell’angelo, che gli offre la possibilità di sviluppare un segno vorticoso e svolazzante. Inoltre gli consente di trattare il tema del dentro e del fuori: l’angelo infatti è allo stesso tempo anima interiore dell’uomo ma risiede fuori dal corpo; l’agitarsi delle sue ali crea vortici e spirali. Il rapporto tra mondo interiore ed esteriore lo riporta al tema della soglia. Il suo stesso dare forma alla terra è un rendere visibile qualcosa che prima non è possibile vedere. In questo senso Valentini non plasma la forma ma la lascia accadere. Non è mai una forma chiusa e statica ma porta con sè le tracce della trasformazione; non è stabilita a priori ma cercata attraverso un continuo interrogare la stessa materia.

 

Fondamentali in tutta la sua opera sono la sperimentazione e la poetica del segno. Il segno è indagato in primo luogo attraverso il disegno: spesso di tratta di schizzi e studi che vengono affidati alla carta. Ogni forma alla quale si accinge a dare vita deve secondo lui avere uno spessore, non in senso fisico soltanto, ma anche di significato, di pensiero. I disegni sono eseguiti con la stessa materia delle sculture: terra e acqua. La sua pittura non è solo progetto per la scultura ma piuttosto un vocabolario di idee, appunti visivi ed espressivi, una tensione che porterà ad una conclusione tridimensionale. La pittura per Valentini “è un fatto proprio di idee, di idee sulla cultura”.[4]

L’approccio di Triacca al disegno su carta è in qualche modo simile, in quanto anche il pittore lombardo affida a questo supporto le sue idee, le lascia confluire in uno schizzo che non rappresenta il bozzetto dell’opera finale, bensì un percorso di analisi, interrogativo.

Le carte di Valentini condividono gli stessi temi di ricerca della scultura oppure possono nascere talvolta autonomamente rispetto ad essa ma partecipano all’indagine sugli stessi problemi formali.

Utilizza non di rado il carboncino e i colori a cui sovrappone carte e ritagli già dipinti. I suoi colori sono quelli delle terra: le ocre, i neri e gli azzurri.

Nella pittura Valentini riversa le sue emozioni più libere che si traducono in segni e gesti senza evidente rapporto col reale. Nei suoi dipinti si delineano vortici, forme circolari, concavità.  In tutta la sua opera il segno è davvero un elemento ricorrente: un segno nello spazio che non è slegato dalla materia ma che sottende ad uno stesso discorso. La linea diventa una traccia, un segno e poi superficie; esprime in tempo proprio nel suo svilupparsi nello spazio. Il vuoto non è un campo privo di forze ma bensì il suo fulcro tende all’infinito. I suoi segni sono percorsi, sono tracce ancora invisibili ma che già la materia presagisce.

I risultati che ottiene in campo pittorico fanno pensare alle recenti esperienze informali. Tuttavia non è del tutto esatto far derivare questo da un’adesione volontaria alla poetica dell’Informale. Sicuramente in parte egli attinge da questo clima, nel quale vive e  che imperversa negli anni in cui inizia a dipingere: l’energia del gesto, la matericità delle sue opere, l’approccio privo di schemi precostituiti e l’impeto libero di fluire. Egli stesso afferma: “Innanzi tutto io non è che abbia mai avuto una stagione informale. Ho fatto tanti disegni, tanti quadri; l’Informale è venuto così, quasi di conseguenza.”[5]

Dopo una prima fase figurativa, nei suoi quadri trovano posto segni violenti di immagini e forme libere ma sempre in contrasto con la presenza di una struttura definita. Inizialmente Valentini individua  infatti un primitivo scheletro, molto sintetico, che viene poi “ricoperto” da stratificazioni di segni e colori. I suoi disegni sono sovente caratterizzati da un notevole spessore materico. L’impeto del segno violento trova grazie alla struttura i giusti rapporti spaziali.

Pur in questo rigore riesce a mantenere l’arditezza graffiante del segno immediato. Il frammento è inserito quindi in questo spazio fatto di trame e percorsi senza fine. La struttura geometrica possiede punti di snodo che esercitano un’attrazione, quella che lui definisce una “seduzione”. Questo discorso rappresenta in qualche modo in nuce il metodo espressivo dello stesso Triacca. Egli rimane legato a questa metodologia di approccio allo spazio. Pur vivendo una stagione informale, che anche per lui si presenta come una condivisione di una libertà espressiva e un impeto nel segno quasi inconsapevolmente informali, Triacca non rinuncia a dare ai suoi quadri un fondamento strutturale determinato. Egli vi giunge non immediatamente, ma compie una serie di studi ed esperienze che lo portano a trovare il suo linguaggio. Tuttavia si ravvisa nell’esempio del maestro un forte impulso in questa direzione, un impianto di metodo che trova nell’artista un terreno fertile.

 

Nel discorso di Valentini il segno comunque non è mai un discorso a parte rispetto alla materia: egli cerca di indagare la gamma di segni che è presente nella terra, in questo materiale che gli fornisce le immagini su cui lavorare essendo essa stessa generatrice di forme. Infatti l’artista lascia che la forma nasca da sollecitazioni interne alla materia stessa, cercando di capirne la sostanza e caricandola così di ulteriori significati. È comunque un’indagine sul reale e sul suo configurarsi spontaneo: cerca di comprendere i modi della trasformazione e le cause dell’agire di determinate forze. Egli deriva dalla filosofia presocratica il concetto materia quale sostanza delle cose che sono in natura. Il ruolo di quest’ultima assurge a divinità, rappresenta l’universo stesso. La materia è il luogo dove avvengono le trasformazioni, l’anima di tutto ciò che possiede il principio del movimento in sé. Le forme sono le tracce di avvenute trasformazioni.

 

Valentini è sempre alla ricerca di forme e figure “prime”, di archetipi visivi.

Anche il ruolo dato alla memoria è molto importante: i paesaggi sono registrati dalla mente, le immagini sono colte da uno sguardo cosciente, che le ordina e le struttura.

La sua ricerca è volta a rivelare“il meccanismo di stratificazioni simboliche dell’inconscio collettivo e individuale fatto, come scriveva Bergson, di materia e memoria.”

Il simbolo entra a far parte dell’opera nel momento in cui diventa magico; questo può accadere soltanto quando unisce due cose lontane, una evidente ed una invisibile. Se l’immagine che infine si presenta viene riconosciuta, se questa unione è vissuta internamente anche da chi osserva allora è un archetipo, altrimenti resta solo un’allegoria.

La ricerca dell’immagine e dei temi da parte di Triacca è tesa in questo senso alla ricerca di qualcosa che possa essere “vissuto internamente”. Il suo interesse per l’archetipo, la ricerca di temi che hanno a che fare con la memoria collettiva, o meglio con l’immaginario dell’essere umano, diventa motivo di ricerca continua, stimolo all’attività pittorica. È lo stesso Valentini nel 1980, in occasione della mostra che i due allestiscono insieme alla Galleria San Marco di Seregno, a consigliargli la lettura del filosofo Bachelard. La ricerca dello studioso francese è proprio volta ad indagare i meccanismi insiti all’immaginazione e di conseguenza alle forme più ricorrenti che da essa scaturiscono. L’opera di Triacca da questo momento non smette più di avere a che fare con i temi proposti da Bachelard nei sui testi: “La poetica dello spazio” e “La poetica della reverie”, di cui tratterò più avanti.

 

Tutto il processo creativo viene considerato da Valentini ciò che dà un senso al suo operare. Il risultato non è alla fine del processo ma nel metodo. È questo un altro aspetto che accomuna il pensiero dei due artisti. Il modo di intendere la creatività e la realtà dell’artista proprie di Valentini hanno lasciato un’impronta profonda su Triacca. Anche lui infatti non si prefigge come scopo quello di produrre un oggetto da contemplare in modo passivo, ma considera l’opera e il suo senso più intimo come un luogo dove accadono eventi.

“L’approccio di Valentini”, afferma Triacca, “ è diventato anche per me un modo di intraprendere un percorso.”[6]



[1] N. Valentini, in catalogo mostra Padiglione d’arte contemporanea, Milano, 1984

[2] A. Triacca, trascrizione di un colloquio con l’artista.

[3] ivi

[4] N. Valentini, testo tratto dalla registrazione di una conversazione tra N.V , Enzo Castagno e Bianca Negroni, inserito nella tesi di laurea di B. Negroni: “Nanni Valentini, dialoghi ma soprattutto affermazioni”, Accademia di Brera, a.c. 1984-85; relatore Flaminio Guardoni; trascrizione di Claudia Verpelli.

[5] N. Valentini, testo tratto dalla registrazione di una conversazione tra N.V , Enzo Castagno e Bianca Negroni, inserito nella tesi di laurea di B. Negroni: “Nanni Valentini, dialoghi ma soprattutto affermazioni”, Accademia di Brera, a.c. 1984-85; relatore Flaminio Guardoni; trascrizione di Claudia Verpelli.

[6] A. Triacca, trascrizione di un colloquio con l’artista.

 

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