1971-1974 L’ENERGIA DELL’INFORMALE

27.01.2016 15:06

Quando Triacca si affaccia sul mondo dell’arte, nei primi anni ’70, il panorama risulta costituito dalle ultime speculazioni e dalle recenti ricerche, ancora in atto, degli artisti che operano nell’immediato dopoguerra. L’eco dei nuovi sviluppi, che proviene dalla storia dell’arte appena trascorsa, giunge anche in Italia e il pittore inizia a sentirne la risonanza nelle scuole d’arte. Molte delle esperienze compiute in quell’ambito, ma anche in quelle degli anni successivi, risentono del dibattito ancora in fermento sui nuovi mezzi dell’arte e sulle nuove intenzioni manifestate dagli artisti italiani, europei e d’oltroceano.

Nell’immediato dopoguerra la crisi del rapporto tra arte e società si fa sempre più sentire. L’uomo, e quindi l’artista, vive una crisi esistenziale a causa dell’abbandono della posizione centrale, assunta fino a prima della guerra, in favore di una sempre maggiore importanza conferita all’industria e al progresso, in crescita vertiginosa. La sfiducia nei confronti dell’umanità, anche alla luce della recente guerra, portano ad una condizione di disagio diffusa, molto sentita dagli artisti e riflessa nella loro arte. Un desiderio di rinnovamento è molto sentito, particolarmente nel rapporto con il mezzo pittorico: l’artista sente il bisogno di una libertà espressiva, di un gesto creativo senza costrizioni e vincoli, di un nuovo rapporto con i propri strumenti e materiali.Anche nell’ambiente delle scuole d’arte che Triacca frequenta il dibattito sull’arte è più che mai acceso. La crisi del ruolo del pittore e la voglia di rinnovamento si fanno sentire. Le nuove direzioni imboccate dalle manifestazioni artistiche vengono raggruppate sotto il termine “Informale”.

I presupposti a questa tendenza, eterogenea nelle sue espressioni, vanno ricercati negli avvenimenti che susseguono gli anno della seconda guerra mondiale. In questa circostanza molti artisti europei si trovano a dover emigrare negli Stati Uniti: è così che il polo artistico che fino a quel tempo assumeva il ruolo di capitale dell’arte, Parigi, lascia il posto a New York. Molti personaggi che giungono nel nuovo continente sono artisti, critici e intellettuali che provengono da ambienti legati al dadaismo e al surrealismo, come Max Ernst, Andrè Breton, Juan Mirò, Marcel Duchamp.  È da qui che prendono avvio le ricerche gestuali e segniche che affondano le proprie radici nell’automatismo surrealista e che caratterizzano l’arte americana in questo periodo.

 

Dopo la forzata separazione dovuta alla guerra vi fu una ripresa dei contatti internazionali, una crescente volontà di confronto tra realtà artistiche fino a quel momento rimaste estranee. Nel contesto italiano nasce la voglia di liberarsi dai dogmi formali e dalle eredità locali, condizioni ormai percepite come vincolanti.

L’uomo-artista si pone al centro della sua opera assumendo il ruolo principale. L’individualità e l’emozione soggettiva vengono poste in primo piano.

Gli artisti non si uniscono più sotto il nome delle avanguardie, semmai formano piccoli gruppi molto ristretti che manifestano una comunione di intenti, non tanto dal punto di vista formale, ma piuttosto in riferimento agli scopi da perseguire. Le manifestazioni artistiche sono quindi eterogenee. Il termine che è stato utilizzato per riunire diverse coniugazioni sotto uno stesso nome, ossia “Informale”, è stato per la prima volta utilizzato dal pittore francese Mathieu nel 1951. Tuttavia fu il critico francese Michel Tapiè ad usarlo in modo consapevole, in occasione di alcune mostre alla galleria Drouin, che riunivano opere, tra gli altri, di Dubuffet e Fautrier. Nel suo significato letterale, “informale” vuol dire “senza forma”. La parola viene quindi associata ad un’arte che non si avvale di forme compiute e definite. Questo non significa che si contrappone al figurativo: infatti la definizione di arte astratta non è calzante in quanto le sue espressioni non derivano da un processo di rielaborazione dell’immagine figurativa di un oggetto, fino a renderlo solo un insieme di linee e forme che da esso derivano. La linea e il segno sono essi stessi gli oggetti, che non rivelano altro che se stessi.

La cifra comune alle esperienze cosiddette “informali” può essere infatti individuata in un’arte in cui segno e gesto emergono in primo piano. Vi è una comune volontà di rinnovamento e cambiamento rispetto al passato e alla tradizione. Più di tutto è fortemente agognato un  nuovo modo di porsi dell’artista rispetto al mezzo artistico, alla materia della propria arte. Gli elementi dell’opera vengono ad essere rappresentati dagli stessi mezzi del fare pittorico. L’opera cessa di avere un soggetto, o meglio il soggetto è lo stesso pittore con i suoi impulsi e le sue emozioni. Tuttavia questo non si può affermare per tutti gli artisti e per tutte le varianti del movimento di ogni paese.

Gli artisti d’oltreoceano vivono un momento di messa in crisi dei valori consolidati e appartenenti alla tradizione; anch’essi mettono in discussione il significato del dipingere e i suoi fini espressivi. Lo spazio pittorico è concepito come arena nella quale entrano in gioco non più solo i valori spaziali ma anche il tempo e il luogo dell’agire dell’artista. In ambito americano l’importanza conferita al gesto in sé è molto più estrema che in Europa. Gli artisti degli Stati Uniti sono soprattutto concentrati sull’azione in sé come momento rituale, magico. L’atto pittorico predomina in una dimensione quasi mistica, scandita dal tempo dell’azione, in una forma definita appunto action painting. Una delle principali differenze dell’informale nella sua declinazione europea in confronto a quella americana è una maggiore importanza conferita alla composizione e alla struttura, oltre che ad un gesto sì impulsivo ma direzionato e pilotato.

L'ambito dell'Informale in Europa si articola in diverse "poetiche”. Tre elementi basilari della poetica dell’informale sono il segno, il gesto e la materia. La poetica del "segno" è alla base di una pittura che ha come protagonista unico e incontrastato il segno. Questo può essere una piccola scalfittura, un’impronta o una macchia amorfa più articolata. Può diventare trama, infittirsi o diradarsi, organizzarsi entro strutture o essere svincolata sulla tela. Può presentarsi come in sequenza o essere isolato in un groviglio, in una matassa. Il gesto che lo crea può scaturire da un gesto impulsivo, un movimento della mano istintivo di trascrizione automatica; a volte si presenta subordinato ad una struttura studiata nel dettaglio. Il segno diventa quindi vocabolo di un nuovo linguaggio che parla di se stesso, oppure allude all’essere umano e alla sua interiorità. Può essere volutamente simbolico, o evocare casualmente qualcosa che era imprevedibile dall’autore stesso. L’elemento grafico non delinea una forma, ma allude solo al suo formarsi e svilupparsi, non contiene un secondo significato. Le forme che eventualmente emergono sono determinate dal rapporto del segno con lo sfondo ma non conducono al riconoscimento di una configurazione specifica, seppur astratta. In alcuni artisti risulta evidente la componente calligrafica. Ne sono un esempio George Mathieu e Hans Hartung.

La poetica del "gesto" invece sposta l’attenzione al gesto vero e proprio e non tanto al suo prodotto sulla superficie pittorica. Questa è vista come luogo in cui la propria creatività si riversa, dove avviene un’azione guidata dalla volontà dell’artista. In questo senso, l’emozione più impulsiva diventa protagonista ed è il gesto a tradurla sul quadro. Il gesto è un’azione motoria, implica un movimento che per l’artista è dettato dall’impulso.
per questo motivo è una pittura caratterizzata da pennellate energiche, spazzolate di colore, sciabolate di materia pittorica. Alcuni artisti come Mathieu, in vere e proprie azioni eseguite anche in pubblico, arrivano a spremere il colore dal tubetto direttamente sulla tela.  Su di essa si trovano quindi masse e agglomerati di colore, linee che tracciano percorsi di cui si può seguire la direzione, segni e forme organizzati in maniera casuale, macchie di colore, grumi e spruzzi. Il quadro registra esattamente il percorso creativo che l’artista mette in atto. È in questo senso che si ravvisano i suoi rapporti con l'automatismo psichico dei surrealisti.
 

L’action painting è una delle formulazioni più estreme di questa poetica. Si ricollega al cosiddetto  Espressionismo Astratto  americano, ma costituisce una variante più legata all’azione in sé.

La poetica della "materia” pone nella materia stessa l’oggetto della sua arte. Nell’artista che utilizza questo mezzo c’è la volontà di scoprire e far emergere l’energia propria della materia, le sue qualità intrinseche, e non desidera forgiarla o assoggettarla ad una forma. La materia è costituita da impasti di colore con cariche di diversa natura, da grumi e masse corpose di gesso e pigmenti, colle ma anche assemblaggi. Nel quadro vengono inseriti stoffe, sassi, sabbia o materiali inconsueti, come nel caso di Dubuffet, il quale crea composizioni con ali di farfalla. In questa sua natura la pittura materia ha un procedimento d’esecuzione più lento e meno istintivo. L’artista nell’apporre il magma materico si interessa ad un certo equilibrio formale, studia e sfrutta le caratteristiche di ogni sostanza e le qualità di texture.
lo strato applicato sul supporto è solitamente spesso e molto mosso. Il colore assume un ruolo fondamentale perché è l’unico elemento che può assumere forma, differenziare zone di materia e stesure di impasto.

In Italia la tendenza “informale”assume caratteri più forti verso la fine degli anni ’40. Fontana,  con il suo “Manifesto dello Spazialismo”, rivendica una nuova spazialità, tesa a superare i contrasti tra arte figurativa e arte astratta, nella quale entrano a far parte colori, luce, forma e nuovi strumenti tecnici. L’obiettivo è quello di inaugurare un nuovo linguaggio nel quale l’arte assume significato soprattutto in funzione del gesto, dell’azione che, al contrario della materia, può essere eterna.

A Milano, il gruppo fautore di un manifesto si riunisce nel Movimento Arte Concreta (MAC), fondato nel 1951 e composto, tra gli altri, da Munari, Nigro e Soldati e supportato dal critico Gillo Dorfles.

In questo periodo emerge quindi una spinta ad un ritorno alla pittura, al colore e alla tela dipinta. Ma questa cessa di essere solo supporto per un’immagine: essa diventa invece un campo che registra i segni e i gesti immediati dell’artista, senza alcun filtro. Lo spazio è vissuto e sentito in modo nuovo: non si basa più su sistemi di rappresentazione fissi, ma su un’espressione libera di fluire.

Il nucleo del lavoro di molti artisti è costituito da una dialettica tra due elementi, che si sviluppa sulla tela.

Dalla declinazione orientale del movimento invece nasce un nuovo approccio ai materiali, spinto all’eccesso e spesso sconfinante in un’azione teatrale, in un evento che preannuncia gli happenings degli anni ’60.

 

In conclusione, la poetica informale offre la possibilità a Triacca di creare immagini nuove; le nuove manifestazioni gli aprono l’orizzonte verso nuove concezioni di creatività e ad un diverso significato del dipingere. In esso prendono forma nuove tendenze che portano all’estremo la rivalutazione in termini di espressività libera e di gestualità legata al fare pittorico.

Per comprendere il suo rapporto con questa tendenza è utile osservare le opere eseguite in quel periodo, intorno cioè al 1970.

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